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Dopo l’uscita del libro-inchiesta La Meute di Charlotte Belaïch e Olivier Pérou, i militanti de La France insoumise (LFI) hanno reagito uniti, bollando l’opera come un «ennesimo brùlot mediatico» privo di fondamento. Pur riconoscendo che non tutti hanno letto il volume, la quasi totalità dei sostenitori di Jean-Luc Mélenchon respinge l’idea di un movimento gerarchico e antidemocratico, sostenendo che le critiche derivino da un sistema mediatico ostile e dalla volontà di indebolire la «sinistra di rottura».

Secondo i militanti intervistati, l’inchiesta ricorrerebbe a stereotipi già sentiti: si denuncia un presunto deficit di democrazia interna, mentre le assemblee rappresentative semestrali e le consultazioni delle basi passano inosservate. Lo sguardo è rivolto piuttosto al programma – la sesta Repubblica, i servizi pubblici, la giustizia sociale – temi che, sostengono, vengono sistematicamente ignorati dalla stampa a favore di una narrazione sulla personalità di Mélenchon.

Il «bashing» contro LFI, sostengono ancora, è ormai un «sport nazionale», un rituale con cui le grandi testate attaccano sistematicamente il movimento. Questa attenzione negativa, tuttavia, non scoraggia i militanti: al contrario, ne rafforza la motivazione e la visibilità. Citano in loro favore un recente sondaggio Harris Interactive che assegna al leader Mélenchon il 15 % delle intenzioni di voto, segno, a loro avviso, di un consenso in crescita nonostante (o grazie a) le critiche.

Se poche voci interne osano dissentire pubblicamente, qualche militante dissidente descrive LFI come un «fortezza assediata» e confessa la sensazione di non essere ascoltato. Ma queste posizioni restano minoritarie: prevale il discorso del «campo assediato», convinto che l’attacco mediatico sia la prova della forza e del timore che il movimento ispira al potere costituito.

Fonte: https://regards.fr/plus-on-nous-tape-dessus-meilleur-cest-apres-la-meute-les-militants-insoumis-font-bloc/


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