Nel suo recente saggio State Building in Cold War Asia: Comrades and Competitors on the Sino-Vietnamese Border(Cambridge University Press, 2024), Qingfei Yin offre una rilettura innovativa e originale dei processi di formazione statale nella regione di confine tra Cina e Vietnam durante la Guerra Fredda. Come sottolinea Luciano Magaldi Sardella nella recensione pubblicata su LSE Review of Books, il lavoro di Yin rappresenta un contributo fondamentale alla storia della Guerra Fredda, agli studi asiatici, agli studi di confine e alle teorie sulla formazione dello Stato.
A differenza delle narrazioni tradizionali, che tendono a concentrarsi sulle dinamiche tra le grandi potenze e le loro manovre diplomatiche, Yin adotta un approccio metodologico che intreccia fonti d’archivio cinesi e vietnamite, molte delle quali finora inesplorate. Questo le consente di tracciare un’analisi multilivello — internazionale, nazionale e locale — dei processi di costruzione statale, evidenziandone la complessità e le contraddizioni.
Un aspetto centrale del volume è il concetto di “joint state building”, con cui l’autrice descrive la dinamica paradossale di collaborazione e competizione tra Cina e Vietnam. Nei territori di confine, questi due Stati rivoluzionari costruirono istituzioni, amministrazioni e identità politiche che spesso divergevano dalle visioni centralizzate dei rispettivi governi. La Yin interpreta i territori di confine non come mere periferie, ma come luoghi attivi di negoziazione politica e produzione culturale, dove le ideologie rivoluzionarie si confrontavano con le realtà materiali e sociali locali.
Il periodo analizzato (1949-1975) coincide con fasi di trasformazione profonda sia in Cina sia in Vietnam. Yin descrive come le tensioni ideologiche, comprese le fratture come la divisione sino-sovietica e il crescente coinvolgimento americano nel conflitto vietnamita, abbiano ridefinito i rapporti bilaterali e influito sulle rispettive strategie di costruzione statale. Le comunità di confine emergono come soggetti storici attivi, capaci di negoziare, resistere e reinterpretare le direttive centrali per adattarle ai propri interessi culturali ed economici.
L’autrice analizza anche come le autorità dei due Stati abbiano mobilitato retoriche nazionaliste per consolidare il potere centrale, pur mantenendo ufficialmente un discorso internazionalista. Questo dualismo ha creato spazi di autonomia per le popolazioni locali, che hanno potuto sfruttare le contraddizioni interne ai discorsi ufficiali.
Un altro nodo cruciale riguarda la gestione delle minoranze etniche: la creazione di unità amministrative specializzate, pensate per riconoscere le differenze culturali, si è rivelata uno strumento per rafforzare il controllo centrale attraverso il cooptamento delle élite locali. Yin evidenzia come, nel tempo, questi organismi siano passati da un entusiasmo rivoluzionario iniziale a una burocrazia più standardizzata.
L’evoluzione economica delle aree di confine costituisce un ulteriore filo conduttore del libro. Le autorità cinesi e vietnamite cercarono di integrare queste aree nei rispettivi sistemi economici nazionali tramite riforme agrarie, collettivizzazioni e progetti industriali, con l’obiettivo non solo di aumentare la produzione ma anche di rafforzare il controllo politico. Allo stesso tempo, le attività transfrontaliere — commercio, matrimoni, scambi culturali — continuarono nonostante le restrizioni, rappresentando una sfida costante per entrambi gli Stati.
Dal punto di vista culturale, Yin esamina l’imposizione di politiche linguistiche, programmi educativi e campagne culturali finalizzate a creare nuove identità nazionali, che si sono però scontrate con le appartenenze locali, dando vita a processi complessi di negoziazione.
In conclusione, State Building in Cold War Asia non si limita a documentare un caso storico poco studiato, ma fornisce strumenti concettuali e metodologici utili a indagare come gli Stati rivoluzionari interagiscono con le formazioni sociali preesistenti e come le contese di sovranità si articolano concretamente. Yin dimostra come la Guerra Fredda non sia stata semplicemente imposta dall’esterno, ma sia stata reinterpretata attraverso lenti locali, generando alleanze e conflitti peculiari. Si tratta di una lettura imprescindibile non solo per gli specialisti di storia cinese e vietnamita, ma anche per chiunque sia interessato a comprendere i processi di formazione statale nelle zone di frontiera.
Fonte: LSE Review of Books – https://blogs.lse.ac.uk/lsereviewofbooks/2025/05/27/book-review-state-building-in-cold-war-asia-comrades-and-competitors-on-the-sino-vietnamese-border-qingfei-yin/
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