A distanza di anni dall’esplosione del movimento #MeToo, le aziende si ritrovano in una posizione ambivalente: da un lato teatro di relazioni amorose e sessuali, dall’altro fulcro delle denunce di violenze sessiste e sessuali. Joan Le Goff, in un articolo su The Conversation, sottolinea come la ricerca in management abbia colpevolmente trascurato questo terreno, nonostante la portata rivoluzionaria di #MeToo nelle dinamiche lavorative. Un recente colloque organizzato presso l’IAE Paris-Est cerca di colmare questo vuoto, affrontando i molteplici aspetti di questa trasformazione.
Il movimento #MeToo, nato nel 2007 ma reso globale dall’affaire Weinstein nel 2017, ha scoperchiato una realtà diffusa ben oltre il mondo dello spettacolo. I social media hanno amplificato le testimonianze di molestie e abusi sul lavoro, modificando comportamenti e pratiche organizzative. Tuttavia, la sessualità in azienda resta un tabù nella ricerca accademica. Gli studi pionieristici di Gibson Burrell (1984, 1992) avevano già segnalato il processo di “desessualizzazione” nelle organizzazioni a partire dal XIV secolo e la successiva “resessualizzazione” del secondo Novecento, con i suoi rischi di oppressione e mercificazione del corpo femminile.
Farah Deruelle, con oltre sessanta interviste sul campo, ha evidenziato una resistenza maschile alla nuova regolazione dei rapporti interpersonali in azienda: timore per la fine della seduzione, percezione di relazioni professionali sempre più fredde, paura di censure ideologiche. La conseguenza? Un diffuso senso di smarrimento e il timore di un declino del ruolo maschile nel lavoro.
Christine Noël-Lemaître affronta la questione dal punto di vista dell’etica aziendale. La sua ricerca mostra come, nella maggior parte delle grandi imprese francesi, le regole relative alla sessualità restino generiche e minimaliste, limitandosi al richiamo del divieto di molestie. Un’eccezione è Cap Gemini, che fornisce esempi concreti di comportamenti ambigui e invita all’intervento, anche se solo graduale, delle risorse umane.
In controtendenza rispetto all’approccio normativo, François De March propone un confronto tra #MeToo e il pensiero di Georges Bataille. Secondo il filosofo, l’erotismo nasce in opposizione al lavoro e agli obblighi imposti dalla civilizzazione. #MeToo, concentrandosi sulla sessualità maschile, romperebbe la simmetria della comunità degli amanti e contribuirebbe a una crescente diffidenza verso l’eros. Autrici come Marcela Iacub e Sabine Prokhoris denunciano un clima da caccia alle streghe, più severo degli antichi tabù religiosi, fatto di pubbliche denunce senza prove, pressioni e intimidazioni.
Infine, lo stesso movimento #MeToo rischia, secondo Le Goff, di essere strumentalizzato da logiche aziendali opportunistiche. In alcuni casi, come quello di Emmaüs, le accuse di abusi sessuali (in parte confermate) sono state usate per epurare oppositori interni e riorientare il potere manageriale. In questo modo, la causa femminista può essere trasformata in un’arma per il controllo organizzativo.
Il colloquio IAE, tuttavia, si spinge oltre, promettendo di affrontare anche tematiche spinose come il rapporto tra intelligenza artificiale e industria del sesso, l’umorismo sessista e l’ipocrisia delle imprese nei confronti della prostituzione. Un’indagine lucida e multidisciplinare per comprendere, dopo #MeToo, quale sia oggi il posto dell’erotismo, del desiderio e dell’etica nelle dinamiche lavorative.
Fonte: The Conversation – Après #MeToo, quelle sexualité dans les entreprises ?
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