Nel cuore di Parigi, il museo Jacquemart-André dedica fino al 3 agosto 2025 una nuova esposizione ad Artemisia Gentileschi, artista barocca italiana di primo piano. L’iniziativa, curata da Pierre Curie, conservatore del museo, rappresenta un’occasione per riflettere sulle condizioni di lavoro delle donne pittrici nel XVII secolo e sulle ragioni di un riconoscimento artistico tanto tardivo quanto significativo.
Artemisia Gentileschi si distingue non solo per la sua straordinaria carriera, ma anche per il percorso di formazione e consacrazione professionale intrapreso in un’epoca in cui le donne artiste erano rare e costrette a muoversi in un contesto dominato dagli uomini. Figlia del pittore Orazio Gentileschi, Artemisia si formò nel suo atelier, approfittando di un contesto familiare favorevole alla sua socializzazione professionale. Secondo Pierre Curie, questo fattore risulta decisivo per comprendere la varietà e l’ampiezza della sua produzione: la pittrice seppe adattare il proprio stile ai gusti e alle esigenze dei committenti, rispondendo alle mode e alle domande di un pubblico aristocratico e cosmopolita. Lo testimoniano opere come Ulysse reconnaissant Achille parmi les filles de Lycomède (1641), riscoperta nel 2005 e presentata in mostra, che rivela, anche grazie a un’indagine radiografica, la capacità di Artemisia di modificare le proprie scelte pittoriche secondo le esigenze di committenza.
Il percorso di Artemisia è tuttavia segnato da episodi drammatici: nel 1611 subì uno stupro da parte di Agostino Tassi, collaboratore del padre, e affrontò un processo l’anno successivo. Questo evento ha a lungo condizionato la ricezione critica dell’artista, anche in epoca contemporanea, alimentando letture romantiche e interpretazioni in chiave di riscatto personale, come quella proposta da Mary Garrard nel 1989. La celebre tela Giuditta che decapita Oloferne, realizzata attorno al 1612-1613 e presentata in mostra in una copia d’epoca, è spesso stata interpretata alla luce di questa violenza. Pierre Curie, però, invita a contestualizzare: Judith era un soggetto molto in voga già nel XVI secolo, e Artemisia, come molti artisti barocchi, dipingeva spesso su commissione, scegliendo temi richiesti dai clienti piuttosto che dettati da vissuti personali.
La mostra evidenzia anche il ruolo centrale di Artemisia nella diffusione del caravaggismo in Europa meridionale, sottolineando la sua padronanza tecnica e la capacità di innovare. Pierre Curie insiste sul fatto che Artemisia fu apprezzata già in vita: i suoi contemporanei, e lo stesso padre, riconobbero la sua bravura, tanto che si ipotizzava potesse dirigere l’atelier familiare, gestendo la produzione dei quadri. Con i suoi soggiorni a Firenze, Venezia, Napoli e Londra, Artemisia conquistò il riconoscimento di importanti mecenati, superando talvolta la fama del padre, specialmente nel genere del ritratto. I numerosi autoritratti, come Autoportrait en joueuse de luth (1614-1615), realizzato a Firenze, testimoniano il suo percorso di affermazione artistica.
Nonostante ciò, la storiografia artistica tardò a includerla nel canone: la sua fortuna critica passò più dalle pagine della letteratura che dalle aule accademiche, come mostrano i romanzi di Anna Banti (1947) e Alexandra Lapierre (1998). L’esposizione del museo Jacquemart-André, dunque, non si limita a celebrare l’artista barocca, ma contribuisce a un più ampio movimento di rivalutazione delle donne artiste, riconoscendone il talento, la perizia tecnica e la capacità di emergere in un contesto maschile.
Fonte: La Vie des Idées – Artemisia la baroque
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