Negli Stati Uniti la presenza della Fratellanza Musulmana è rimasta a lungo avvolta nel mistero, tra chi ne negava l’esistenza e chi ne denunciava un radicamento profondo. Eppure, osserva Lorenzo Vidino nel suo rapporto pubblicato dal Program on Extremism della George Washington University, le tracce sono evidenti fin dalla fine degli anni Cinquanta: una storia fatta di studenti, associazioni religiose e ideali importati dal Medio Oriente, che avrebbero dato vita a una rete islamista duratura e sorprendentemente organizzata.
Fino agli anni Sessanta, l’Islam americano era quasi interamente afroamericano. I movimenti come la Moorish Science Temple e la Nation of Islam interpretavano la religione come strumento di emancipazione e orgoglio razziale, più che come dottrina teologica. Nel frattempo, piccole comunità di immigrati arabi, ormai pienamente integrate, avevano fondato la Federation of Islamic Associations (FIA), un’organizzazione culturale priva di ambizioni politiche. Ma l’arrivo massiccio di studenti musulmani dal Medio Oriente e dall’Asia, favorito dalle politiche di scambio della Guerra fredda, avrebbe presto cambiato il panorama.
Quei giovani, molti dei quali provenienti da Paesi appena decolonizzati e con formazione scientifica, trovarono nel sistema universitario statunitense un terreno fertile per riorganizzarsi. Non erano attratti dal nazionalismo laico dominante nei loro Paesi, bensì da un’idea di Islam “totale”, politico e missionario, ereditata dai movimenti islamisti. Sentirono così il bisogno di creare un coordinamento nazionale capace di rispondere alle esigenze religiose e identitarie della diaspora.
Nel dicembre 1963, un centinaio di rappresentanti di associazioni studentesche si riunirono all’Università dell’Illinois, a Urbana. Da quell’incontro nacque la Muslim Student Association (MSA), la prima organizzazione musulmana nazionale d’America. Tra i fondatori figuravano studenti di diversi Paesi e confessioni, ma l’influenza dei Fratelli Musulmani – attraverso militanti egiziani, sudanesi e siriani espatriati – risultò determinante. Pur non essendo formalmente un’emanazione della Fratellanza, la MSA ne adottò le principali linee ideologiche: l’Islam come sistema globale, la necessità della da‘wa (la predicazione) e la visione di un’identità musulmana distinta e disciplinata.
Nel giro di pochi anni, la MSA soppiantò la più moderata FIA. Creò una rete di sezioni universitarie, un giornale nazionale (Al Ittihad), e organizzò conferenze che riunivano migliaia di giovani credenti. Quegli incontri, ricorda Vidino, furono i primi spazi pubblici in cui l’Islam assunse un volto visibile negli Stati Uniti: momenti di preghiera, dibattiti teologici, bazar di libri e oggetti rituali, dove circolavano i testi di Hasan al-Banna, Abul A‘la Mawdudi e Sayyid Qutb.
Da quella stagione universitaria prese forma un tessuto organizzativo che, negli anni successivi, avrebbe dato vita a nuove istituzioni – culturali, accademiche e finanziarie – destinate a sopravvivere ben oltre la permanenza degli studenti nei campus. La storia della Fratellanza Musulmana in America cominciò così: non come un’operazione segreta, ma come un lento processo di radicamento, avviato tra le aule universitarie e alimentato dall’idea che l’Islam potesse costituire un modello di vita alternativo nel cuore stesso dell’Occidente.
Fonte: Lorenzo Vidino, The Muslim Brotherhood in America. A Brief History, Program on Extremism, George Washington University, luglio 2025.
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