Un nuovo studio pubblicato su Science ribalta la convinzione che la lebbra sia stata introdotta in America solo dai colonizzatori europei. Analizzando quasi 800 campioni — anche resti scheletrici di popolazioni autoctone nord- e sudamericane risalenti fino a 6.000 anni fa e casi clinici moderni — i ricercatori hanno individuato tracce del DNA di Mycobacterium lepromatosis in individui precolombiani datati tra 900 e 1.300 anni prima del presente. Questa specie batterica, scoperta solo nel 2008, provoca una forma di lebbra clinicamente simile a quella attribuita a M. leprae, ma era finora considerata endemica soltanto in alcune regioni del Messico e dei Caraibi.
I ricercatori hanno applicato tecniche paleogenomiche avanzate: dalle ossa e dai denti hanno estratto frammenti di DNA (incluso quello del patogeno) e, grazie al sequenziamento ad alto rendimento, hanno ricostruito quasi interamente il genoma di M. lepromatosis in individui di Canada e Argentina di età millenaria. Le analisi filogenetiche mostrano che, già mille anni fa, questa forma di lebbra era diffusa su tutto il continente americano, ben prima dei primi contatti europei. Si ipotizza che la diffusione rapida sia stata favorita da reti di scambi umani o da ospiti animali ad ampia mobilità.
Il lavoro getta luce anche sul mistero delle popolazioni di scoiattoli rossi britannici portatori di M. lepromatosis. Le nuove evidenze indicano che quei ceppi derivano da lignaggi americani, introdotti solo nel XIX secolo, invertendo dunque la classica dinamica di M. leprae (dall’Europa all’America) con un flusso inverso più recente.
Infine, lo studio ha identificato un lignaggio antico, divergenza stimata oltre 9.000 anni fa, sopravvissuto in pochi casi negli Stati Uniti e distinto dal clade dominante odierno. Ciò suggerisce l’esistenza di ulteriori serbatoi sconosciuti e sottolinea la necessità di una maggiore sorveglianza di questo patogeno trascurato.
Un aspetto fondamentale è la collaborazione con comunità autoctone di Canada e Argentina: coinvolte nelle decisioni sullo studio dei resti e nella restituzione dei materiali, con una rappresentante indigena coautrice dell’articolo, nel rispetto di un’etica partecipativa.
L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.