Social media e rivoluzioni: tra memoria della Primavera araba e nuove forme di controlloNonostante tutto, i social network restano uno strumento fondamentale per molte comunità oppresse

Nel saggio La rivoluzione non è un post sui social, pubblicato su “MicroMega” n. 3/2025, Christian Elia analizza il ruolo ambivalente dei social network nei movimenti di protesta, a partire dalla Primavera araba del 2011 fino alle rivolte e repressioni più recenti. All’epoca, piattaforme come Facebook e Twitter offrirono per la prima volta uno spazio non controllato da regimi autoritari, permettendo la documentazione di abusi e la mobilitazione popolare. I casi emblematici di Mohamed Bouazizi in Tunisia e Khaled Sa’id in Egitto mostrano come la diffusione virale di immagini e testimonianze abbia innescato sollevazioni che, pur considerate oggi “fallite”, ruppero un sistema di silenzio e oppressione durato decenni.

Tuttavia, Elia mette in guardia contro una narrazione semplicistica che celebra i social media come motore unico delle rivoluzioni. A suo avviso, e secondo l’analisi del ricercatore tunisino Haythem Guesmi, le piattaforme hanno sfruttato quel mito per fini commerciali e per evitare regolamentazioni, mostrando scarsa trasparenza nei confronti degli attivisti e limitando di fatto la libertà d’espressione nei Paesi arabi. Un processo analogo si è verificato anche in Occidente: si pensi all’assalto a Capitol Hill nel 2021, alimentato da anni di propaganda incontrollata online.

L’articolo affronta anche la crescente influenza della disinformazione alimentata dall’intelligenza artificiale, come nel caso delle proteste in Pakistan o delle rivolte nel Regno Unito. In questi scenari, social network e IA possono tanto organizzare resistenze quanto scatenare violenze, amplificare menzogne e dividere società.

Nonostante tutto, i social network restano uno strumento fondamentale per molte comunità oppresse, come dimostrano il movimento femminista iraniano Donna, vita, libertà, o le testimonianze da Gaza. La possibilità per queste popolazioni di raccontare la propria storia, diventando soggetti e non più oggetti del racconto, rappresenta una trasformazione irreversibile del panorama mediatico. Ma questa conquista si scontra con la censura algoritmica e l’uso repressivo delle piattaforme, sempre più strumenti di sorveglianza e profilazione.

La conclusione di Elia è chiara: il potenziale democratico della rete esiste, ma solo se difeso da regolamentazioni trasparenti e da pratiche di fact-checking rigorose, come quelle di Forensic Architecture. Rinunciare a questi spazi digitali sarebbe un errore. La vera sfida, politica e culturale, è mantenerli liberi.

Fonte: MicroMega n. 3/2025, articolo di Christian Elia.

L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.
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