Quando Marco Pannella voleva Israele in Europa
Un’idea visionaria tra politica radicale e Mediterraneo democratico
Marco Pannella non ha mai avuto paura di apparire provocatorio, visionario o addirittura eccessivo. E proprio per questo, molte delle sue battaglie, a distanza di anni, rivelano una straordinaria lungimiranza. Una di queste, tra le meno ricordate ma tra le più emblematiche della sua visione politica transnazionale, è stata la proposta di includere Israele nell’Unione Europea. Una posizione che oggi suonerebbe quantomeno anomala, ma che negli anni Ottanta e Novanta aveva, nel pensiero di Pannella, un senso tanto politico quanto etico.
Il leader radicale vedeva in Israele un avamposto avanzato della democrazia nel Mediterraneo, circondato da regimi autoritari o illiberali. Per questo, già a metà degli anni Ottanta, iniziò a costruire un legame simbolico e politico tra il Partito Radicale e lo Stato ebraico. Nel 1986, insieme al premio Nobel Elie Wiesel, si recò a Gerusalemme per sostenere la causa degli ebrei sovietici rinchiusi nei Gulag. Un gesto che fu molto più di un atto simbolico: in quell’occasione, Avital Sharansky — moglie del celebre dissidente Natan — si iscrisse al Partito Radicale, seguita da altri venti ebrei russi. Un segno di riconoscenza ma anche di affinità ideologica.
Due anni dopo, nel 1988, il Partito Radicale tenne uno dei suoi congressi più significativi proprio a Gerusalemme. Non fu solo una scelta logistica o provocatoria, ma un gesto carico di significato politico. Fu in quella sede che Pannella lanciò la sua proposta: includere Israele nell’Unione Europea. Per lui, si trattava non solo di un segno di vicinanza storica e culturale, ma di una mossa strategica per rafforzare l’identità democratica del continente e costruire un Mediterraneo “politico”, capace di includere anche altre democrazie emergenti come la Turchia, la Giordania, il Libano e persino un futuro Stato palestinese.
Nel 2006, dalle colonne del Corriere della Sera, Pannella tornò sul tema: «Israele è parte dell’Europa, nella storia, nella cultura e nei valori. L’Europa dovrebbe accoglierlo, per coerenza e per convenienza». La sua visione era chiara: un’Europa che si estende oltre i propri confini geografici, costruendo una comunità di democrazie tra le due sponde del Mediterraneo. Il suo disegno includeva Israele, ma anche il Maghreb, la Palestina democratica, la Turchia: un’Unione Europea che diventasse davvero politica, non solo economica.
Naturalmente, la proposta fu accolta con freddezza, se non con aperto scetticismo, da una classe politica abituata a ragionare entro confini consolidati. Ma in quelle parole di Pannella c’era il riflesso di una battaglia coerente con tutto il suo percorso: superare i nazionalismi, costruire spazi transnazionali di diritto, e rendere la democrazia un bene esportabile non con le armi, ma con le istituzioni.
Rileggere oggi quelle parole e quei gesti non significa solo ricordare una proposta politica ormai archiviata, ma riflettere su quanto le intuizioni radicali di Pannella siano ancora attuali. In un’epoca in cui l’Europa fatica a ritrovare un ruolo nel Mediterraneo e nei conflitti del vicino Oriente, la visione di un’Europa più ampia, più inclusiva, più coraggiosa, resta una provocazione da non dimenticare.
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