La svolta della Linke: via l’IHRA, dentro la Dichiarazione di Gerusalemme
Cosa cambia davvero nella definizione di antisemitismo e perché la scelta divide la sinistra tedesca

In Sintesi

Die Linke ha sostituito la definizione di antisemitismo dell’IHRA (2016) con la più permissiva Jerusalem Declaration on Antisemitism (2021). La nuova linea concede «benefit of the doubt» a critiche verso Israele – come boicottaggi o paragoni con l’apartheid – che molti considerano vere manifestazioni di odio antiebraico. Secondo i critici, in nome della libertà di dibattito la sinistra tedesca finisce per proteggere atteggiamenti antisemiti nel proprio ambito e utilizza l’accusa di antisemitismo come strumento per zittire gli avversari politici.

Approfondimento

Al congresso nazionale del 10 maggio, Die Linke ha annunciato l’abbandono della definizione di antisemitismo proposta dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA, 2016) in favore della Jerusalem Declaration on Antisemitism, redatta nel 2021. La scelta ha scatenato un acceso dibattito nei media tedeschi, perché la Dichiarazione di Gerusalemme – pur presentata come complemento all’IHRA – rende più difficile etichettare certi comportamenti come antisemiti, offrendo al contrario una sorta di «benefit of the doubt» a posizioni critiche verso Israele che, nel contesto, suonano antiebraiche.

La definizione IHRA è concepita come «working definition»: un quadro di riferimento volutamente aperto e aggiornabile alla luce di nuove ricerche o sviluppi politici. La Jerusalem Declaration, invece, pur presentandosi come alternativa o integrazione, lascia spazi interpretativi tali da inglobare boicottaggi e paragoni con l’apartheid tra azioni opinabili anziché vere manifestazioni di odio.

Nel testo approvato, Die Linke riconosce che l’antisemitismo «presenta specificità proprie» ma sostiene che «la lotta contro di esso è inseparabile dal contrasto a tutte le forme di discriminazione». Secondo la giornalista Anna Diouf, questo approccio introduce doppi standard: mentre un paragone con l’apartheid o misure di boicottaggio diventano legittimi, retoriche o gesti chiaramente antiebraici possono essere difesi come libertà di opinione.

Tra gli esempi più significativi c’è l’intervento della scrittrice Eva Menasse al Kirchentag evangelico, che ha accusato chi denuncia il «nuovo antisemitismo a sinistra» di fare il gioco della narrativa ufficiale israeliana, trasformando ogni critica a Israele in un «reato di odio». Diouf contesta che tale visione relativizzi il legame tra ideologia e azione e sfrutti la paura dell’antisemitismo per mettere a tacere il dissenso politico.

In definitiva, l’adozione della Jerusalem Declaration viene giudicata un atto di ipocrisia: da un lato Die Linke riafferma un generico impegno antirazzista, dall’altro si sottrae a un linguaggio condiviso che permetta di riconoscere e condannare con chiarezza ogni forma di antisemitismo, anche quando proviene dalle proprie fila.

Cosa Significa

Immagina due manuali per capire cos’è l’antisemitismo. Il primo, dell’IHRA, è un elenco di segnali utili che ti aiuta a riconoscere l’odio antiebraico restando però aperto a futuri aggiornamenti. Il secondo, la Dichiarazione di Gerusalemme, dovrebbe integrare quel manuale, ma in realtà rende più complicato dire «questo gesto è antisemita» perché ammette come opinabili proprio quelle critiche a Israele che in molti contesti sono considerate odio antiebraico.

Quando Die Linke adotta la Dichiarazione di Gerusalemme, dice sostanzialmente: «Non vogliamo più essere vincolati dalle regole dell’IHRA, che secondo noi limitano libertà di espressione». Il rischio è che, in nome del confronto aperto, finisca per difendere opinioni o azioni antisemite, e trasformi l’antisemitismo in uno strumento politico per attaccare gli avversari anziché un pericolo da combattere ovunque si manifesti.

Fonte: https://www.tichyseinblick.de/meinungen/linkspartei-folgt-jerusalemer-erklaerung/

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