Come ricordato da Daniele Zaccaria su IL DUBBIO, il 3 giugno 2025 l’Assemblea nazionale francese ha approvato all’unanimità una proposta di legge che eleva post mortem Alfred Dreyfus al grado di generale di brigata, ponendo così ufficialmente fine a oltre un secolo di dimenticanza istituzionale. Centotrenta anni fa, in un clima di antisemitismo dilagante che non conosceva social network ma si diffondeva attraverso giornali e sentimenti popolari, Dreyfus – ufficiale ebreo alsaziano dell’esercito – fu ingiustamente accusato nel 1894 di aver passato informazioni ai tedeschi. Il processo, costruito su prove fabbricate e guidato da pregiudizi razziali alimentati dalla stampa sensazionalista, si concluse con la condanna all’ergastolo e la deportazione dell’ufficiale sulla famigerata “isola del Diavolo” in Guyana francese, da cui pochissimi detenuti tornarono vivi. Solo dodici anni dopo, grazie all’intervento coraggioso di intellettuali come Émile Zola – autore del panfilo J’accuse – Dreyfus fu riabilitato, ma dovette proseguire la sua carriera da ufficiale “dimenticato”, escluso non soltanto dall’esercito, ma da una nazione che per oltre un secolo visse come un tabù quella vergognosa vicenda.
La proposta di legge votata il 3 giugno trae origine da una tribuna pubblicata il 17 aprile 2025 su Le Figaro, firmata da figure di primo piano come l’ex ministro socialista Pierre Moscovici, l’ex segretario generale dell’Eliseo Frédéric Salat-Baroux e Louis Gautier, presidente della Maison Zola – Musée Dreyfus (Daniele Zaccaria, IL DUBBIO). In quella sede, si chiedeva che «la nazione francese, amante della giustizia e della memoria, elevi post mortem Alfred Dreyfus al grado di generale di brigata». La stessa formulazione è stata ripresa letteralmente nella proposta di legge presentata dal senatore (di ogni schieramento politico, incluso il Rassemblement national) Jean Kanner, e successivamente rilanciata dall’ex premier Gabriel Attal per il gruppo Renaissance. Già nel 2021 il gran rabbino di Francia Haïm Korsia, durante una visita al Musée Zola di Médan, aveva sollecitato il presidente Emmanuel Macron a colmare questa lacuna simbolica; Macron, pur riconoscendone l’importanza, aveva chiarito che la decisione spettava al Parlamento. Zaccaria evidenzia come la lunga amnesia collettiva che ha preso il posto della verità abbia permesso al Paese di occultare per decenni quell’onta storica, relegando la figura di Dreyfus in una marginalità silenziosa: un’ombra che nemmeno i manuali di storia hanno saputo metabolizzare.
Non si tratta, osserva Zaccaria, di una riconciliazione improvvisa. Nel 2006, a cent’anni dall’assoluzione formale, il presidente Jacques Chirac ammise che «giustizia non gli era stata completamente resa», mentre già nel 1995 si era scusato a nome della Francia per le deportazioni di ebrei operate dal regime di Vichy. Fu però l’unico ad affrontare in modo esplicito quella pagina: François Mitterrand, nonostante il suo passato di funzionario al Commissariato generale per i prigionieri di guerra di Vichy, non pronunciò mai parole di presa di responsabilità. Quel «giusto ma tardivo» riconoscimento di Chirac resta, di fatto, l’unico sussulto ufficiale del XX secolo.
Nel presentare il voto dell’Assemblea, Attal ha richiamato il parallelo tra il caso Dreyfus e il recente aumento degli atti antisemiti: solo la settimana precedente, il Memoriale della Shoah era stato imbrattato con vernice verde da ignoti, e gli episodi di violenza contro persone e luoghi di culto ebraici in Francia erano aumentati di oltre il 300 percento rispetto al 2023. Zaccaria sottolinea come la riabilitazione di Dreyfus venga così collegata, nell’opinione pubblica e in Parlamento, alla necessità di tener viva la memoria contro la giudeofobia contemporanea. Nell’articolo di Le Figaro si era accennato, pur senza nominarla direttamente, alla deriva antisraeliana di una parte della sinistra radicale, ritenuta talvolta veicolo di nuovo antisemitismo nascosto dietro la solidarietà verso i palestinesi.
La discussione parlamentare guarda però anche oltre l’aspetto puramente simbolico: diversi esponenti, come il deputato centrista Sylvain Maillard, hanno evocato l’ipotesi di traslare le spoglie di Dreyfus al Pantheon di Parigi, un tributo di massimo rilievo storico. L’idea non è nuova, ma trova critiche anche autorevoli: François Bayrou, oggi primo ministro, si era già detto contrario nel 2006, sostenendo che «il Pantheon è per chi ha cambiato la storia, non per chi l’ha subita». Zaccaria conclude che proprio qui risiede il cuore del dibattito sulla memoria nazionale: riconoscere che persino “subire la storia” con dignità può rappresentare un atto di cambiamento duraturo.
Fonte: Daniele Zaccaria, “La Francia si riconcilia con il caso Dreyfus dopo oltre cento anni”, IL DUBBIO, 4 giugno 2025.
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