Il 22 maggio 2025, l’annuncio ufficiale del sistema di difesa missilistico Golden Dome da parte del presidente Trump ha rappresentato ben più di un traguardo tecnologico. Come osserva Paulo Aguiar su Geopolitical Monitor, si tratta di un passo deciso verso la ristrutturazione delle fondamenta strategiche della sicurezza americana, proiettando l’influenza di Washington in uno spazio — quello orbitale terrestre — ancora largamente privo di regolamentazione internazionale.
Il Golden Dome mira a intercettare missili nemici in tutte le fasi della loro traiettoria, integrando satelliti in orbita bassa (LEO), radar terrestri, armi a energia diretta e intercettori cinetici. Questa rete multilivello non solo amplifica la capacità di difesa americana, ma segna un cambio di paradigma: dagli equilibri basati sulla reciproca vulnerabilità nucleare — che hanno stabilizzato le relazioni di deterrenza dalla Guerra Fredda — verso una deterrenza fondata sull’impenetrabilità. L’effetto è destabilizzante: anche solo nella sua fase iniziale, il Golden Dome induce avversari e alleati a rivedere le proprie dottrine di sicurezza.
L’architettura proposta è ambiziosa e complessa: la copertura globale richiederebbe migliaia di nodi satellitari interoperabili, ciascuno con la duplice funzione di sensore e intercettore. Ma questa stessa complessità rende il sistema vulnerabile: un avversario potrebbe colpire satelliti critici o sfruttare eventuali falle di sincronizzazione. Non è dunque un singolo avanzamento tecnico a innovare la strategia americana, ma la capacità di integrare diversi sistemi in tempo reale attraverso più domini operativi.
Lo spazio orbitale diventa così un nuovo terreno strategico. Non potendo reclamare formalmente la sovranità su orbite specifiche, gli Stati Uniti intendono esercitare influenza tramite la presenza costante, la sorveglianza e la capacità di negare l’accesso ad altri. Questo scenario trasforma la geografia dello spazio: le rotte orbitali, soggette a leggi fisiche prevedibili, diventano veri e propri “colli di bottiglia” operativi. Riempendo l’orbita bassa di satelliti dual-use, Washington si propone di trasformare lo spazio da ambiente di supporto a campo di battaglia attivo, con linee di controllo invisibili, tracciate da traiettorie e vettori.
Tale strategia non può che scatenare reazioni. Cina e Russia, in particolare, vedono nel Golden Dome un tentativo di minare la mutua distruzione assicurata, principio cardine della deterrenza nucleare. Per aggirare questo scudo, potrebbero sviluppare tecnologie ipersoniche, moltiplicare le piattaforme di lancio o puntare su armi orbitali e sistemi stealth. Anche la guerra cibernetica e l’intelligenza artificiale diventano strumenti per colpire la rete di comando e controllo del Golden Dome. Si prospetta così una corsa agli armamenti non solo tecnologica, ma anche strategica, in cui la difesa stimola nuove offensive e l’escalation diventa la regola.
Il Golden Dome, osserva Aguiar, è quindi tanto un simbolo quanto una difesa concreta. Il suo potere sta nel suscitare reazioni psicologiche: come lo Scudo Spaziale degli anni Ottanta, potrebbe costringere gli avversari a sprecare risorse per contrastarlo, anche se non pienamente operativo. Ogni satellite lanciato, inoltre, introduce un’ambiguità strategica: è un sensore, un’esca o un’arma? Difesa passiva o preludio ad azioni offensive? Questo alone di incertezza funziona come un’arma cognitiva, obbligando gli avversari a prepararsi a ogni eventualità, con costi potenzialmente superiori a quelli del sistema stesso.
C’è poi un effetto non secondario sul tessuto delle alleanze. Un sistema pensato per proteggere innanzitutto il territorio americano potrebbe minare la credibilità delle garanzie di sicurezza estese agli alleati. Se questi ultimi percepiscono lo scudo come esclusivo per gli USA, potrebbero dubitare della disponibilità di Washington a rischiare un conflitto nucleare per difenderli. Di conseguenza, potrebbero scegliere di diversificare le proprie opzioni strategiche: sviluppare difese autonome, dotarsi di deterrenti nucleari o stringere legami con potenze rivali. Una dinamica che minaccia la coesione dell’alleanza stessa, proprio perché la deterrenza collettiva è anche una questione di percezione psicologica.
In definitiva, il Golden Dome rappresenta un progetto di difesa che si estende ben oltre la tecnologia: ridefinisce lo spazio come arena di conflitto strategico e mette in discussione le regole del gioco su cui si è fondata la stabilità nucleare globale.
Fonte: Paulo Aguiar, “Golden Dome: Strategic Blowback from an ‘Untouchable’ United States”, Geopolitical Monitor, 2025
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