Per entrare nello stato di flow, ovvero quella condizione mentale in cui tutto sembra scorrere in modo naturale, produttivo e appagante, è necessario che il livello della nostra abilità sia in equilibrio perfetto con la difficoltà della sfida che affrontiamo. È una delle otto condizioni teorizzate da Mihaly Csikszentmihalyi, il ricercatore ungherese che negli anni ’90 ha dato forma scientifica a ciò che accomuna l’esperienza di artisti, danzatori, scienziati e sportivi: una fusione tra consapevolezza e azione in cui il tempo si dilata, l’ansia scompare e ci si sente pienamente vivi.
Eppure, per la maggior parte delle persone il flow resta un ricordo d’infanzia o una condizione vissuta per caso, difficile da replicare. Il mito del genio creativo — da Einstein a Turner — rafforza l’idea che il talento sia innato e raro. Invece, come spiega l’autrice dell’articolo, oggi neuroscienziata ma un tempo danzatrice, la chiave per accedere regolarmente a questo stato risiede nell’allenamento e nella ripetizione.
Il flow, infatti, non nasce dal semplice “sentire”, ma da una lunga sedimentazione di gesti, movimenti e abilità che il cervello impara a riconoscere e automatizzare. La scienza lo dimostra: con la pratica, le azioni passano dai sistemi cognitivi espliciti a quelli impliciti, permettendoci di agire senza sforzo conscio. Quando i jazzisti improvvisano, non stanno “inventando” dal nulla, ma attingono a una memoria muscolare radicata nella loro architettura cerebrale.
La corteccia prefrontale — sede della pianificazione e del pensiero consapevole — gioca un ruolo chiave nella fase di apprendimento. Ma una volta interiorizzata la tecnica, l’attività passa a sistemi più profondi e automatici. Ecco perché, nel celebre esperimento della Drexel University, i musicisti esperti peggioravano quando venivano stimolati proprio in quell’area: il loro cervello, in realtà, aveva bisogno di lasciarsi andare, non di essere ulteriormente controllato.
Questa scoperta si applica a tutte le arti e attività: dalla scrittura alla danza, dalla pittura al cucito. Il talento è solo un punto di partenza: la vera magia è nel lavoro costante. Per stimolare il flow, suggerisce l’autrice, è utile costruire attorno a sé uno “spazio-cue”, ovvero un ambiente sensoriale ripetuto che alleni il cervello ad associare certi stimoli (un odore, un suono, una posizione) a uno stato creativo. L’esempio personale è eloquente: scrivere al mattino, con un certo tipo di caffè, in un determinato luogo, sempre sullo stesso laptop.
Il risultato? Una forma di automatismo neurochimico che consente di entrare nel flow come se si accendesse un pilota automatico. Il cervello, abituato al gesto, non ha più bisogno di energia per “decidere” cosa fare. Questo approccio ha un altro beneficio: allontana il caos e l’imprevedibilità della vita quotidiana, offrendo un rifugio mentale stabile e stimolante.
In definitiva, il flow non è un dono mistico, ma una conquista raggiungibile attraverso tecnica, ripetizione e piccoli rituali quotidiani. La buona notizia? Non si finisce mai di imparare. E ogni nuovo gesto, ogni nuova sfida ben calibrata, può essere una porta verso il flow. Basta iniziare.
Fonte: Aeon Essays, You need to build mastery in order to find your flow
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