Pierluigi Battista, nel suo editoriale pubblicato su Il Foglio l’11 e 12 ottobre 2025, intitolato “Liturgia delle frange estreme”, affronta con tono amaro e disincantato la retorica ricorrente che accompagna le violenze di piazza: quella dei “pochi infiltrati”, delle “esigue minoranze”, dei “provocatori” che – a sentire commentatori e politici – avrebbero “nulla a che fare” con le manifestazioni pacifiche. Battista smonta questa narrazione con la forza della memoria diretta, ricordando gli anni Settanta, quando la linea di confine tra frange violente e masse pacifiche era, di fatto, inesistente.
L’autore parla in prima persona, da ex partecipante, raccontando l’estetica e la ritualità della militanza radicale di quegli anni: l’eskimo con i tasconi per i sassi, i caschi bianchi, le “bocce” molotov, i bastoni con drappetti rossi soprannominati “Stalin”. Non era solo violenza, ma una vera “liturgia”, una scenografia del conflitto. Le “frange estreme”, ricorda, non erano corpi estranei calati dall’alto: facevano parte di un unico organismo, dove “compagni che sbagliavano e compagni che non sbagliavano” convivevano, fino allo scoppio dello scontro con la polizia.
Battista rievoca l’epoca dei servizi d’ordine del PCI e dei sindacati, capaci di impedire ogni infiltrazione nei cortei. Una disciplina ferrea che rendeva impossibile, per esempio, che nelle prime file apparissero striscioni violenti o antisemiti – come accaduto invece nelle manifestazioni recenti sul conflitto in Medio Oriente. Allora, chi provava a inserire slogan radicali veniva rapidamente espulso, “con mezzi muscolarmente molto convincenti”. Oggi quella barriera, osserva l’autore, è scomparsa, e la piazza sembra aver smarrito la propria capacità di distinguere o di arginare la deriva.
Il momento di svolta nella memoria di Battista è il febbraio 1977, il comizio di Luciano Lama alla Sapienza di Roma, quando il servizio d’ordine della CGIL fu sopraffatto dagli autonomi dei “Volsci”. Lì finì un’epoca: la sinistra “organizzata” perse il controllo del movimento, e la violenza divenne protagonista. Da quel momento, la retorica delle “frange” servì solo a nascondere la complicità diffusa e a costruire un alibi morale per tutti.
Oggi, scrive Battista, quella stessa liturgia sembra tornare in vita: la scena si ripete, con cortei devastati e commenti indignati che invocano la colpa dei “pochi”. Ma chi ha vissuto quegli anni, conclude, non può che sorridere amaramente di fronte a simili spiegazioni, perché sa che dietro l’apparente spontaneità delle frange c’è sempre un corpo collettivo che le tollera, le assolve, le accompagna. E che la violenza non è mai così isolata come si vorrebbe credere.
Fonte: Pierluigi Battista, “Liturgia delle frange estreme”, Il Foglio Quotidiano, 11-12 ottobre 2025.
L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.
