Il progetto humiano è un compromesso: mantenere chiarezza e piacevolezza stilistica, ma subordinandole alla ricerca dei principi che spiegano i fenomeni morali.Il progetto humiano è un compromesso: mantenere chiarezza e piacevolezza stilistica, ma subordinandole alla ricerca dei principi che spiegano i fenomeni morali.

Per secoli, il “ritratto di carattere” – brevi schizzi che descrivono tipi sociali attraverso abitudini e inclinazioni – è stato considerato un modo legittimo di fare filosofia morale. Dalla Grecia antica, con i Caratteri di Teofrasto, fino al Rinascimento e all’età moderna, questa forma ibrida ha insegnato virtù e vizi non per definizioni astratte ma tramite descrizioni vivide: l’uomo con “cattivo tempismo”, il distratto che si addormenta a teatro, il ricco e il povero ritratti da La Bruyère, gli esempi operativi raccolti e rilanciati da umanisti e filologi come Casaubon, da vescovi moralisti come Joseph Hall, e poi dagli osservatori civili come Addison nello Spectator. Per Isaac Casaubon, infatti, la scrittura di caratteri era il “terzo” modo – accanto all’argomentazione e al precetto – di istruire la morale: etica e letteratura fuse in una prosa capace di agire sui costumi.

Nel 1748 David Hume incrina questo equilibrio. Nell’Enquiry Concerning Human Understanding separa i filosofi in due specie: la via “facile e ovvia”, che dipinge la virtù con i colori della retorica e accumula “osservazioni della vita comune” e “caratteri opposti”, e la via “accurata e astratta”, che cerca i principi generali sottesi ai costumi. Collocando Cicerone, La Bruyère e Addison nel primo gruppo, e Aristotele, Malebranche e Locke nel secondo, Hume svuota la pretesa filosofica del ritratto di carattere: lo riconosce come scrittura efficace e piacevole, ma lo ritiene insufficiente a “andare al fondo” delle cose. Il progetto humiano è un compromesso: mantenere chiarezza e piacevolezza stilistica, ma subordinandole alla ricerca dei principi che spiegano i fenomeni morali. Anche quando parla di “caratteri” – come nel saggio Of National Characters – Hume non li descrive in stile teofrasteo, bensì discute e ricalibra i principi che li generano.

Da qui prende forma la cesura moderna: ciò che un tempo costituiva un “terzo genere” tra poesia e filosofia scivola verso la letteratura (dipinti tipologici, figure in contrasto, vivacità descrittiva), mentre la filosofia assume il compito dell’“anatomia” delle cause, con centralità dei principi e dei limiti dell’esperienza. Guardando ai programmi accademici odierni, è Hume ad aver prevalso: in filosofia si legge Locke più che Addison.

Eppure la storia lunga dei Caratteri suggerisce un’alternativa praticabile: che, per comprendere concetti morali generali (disattenzione, cattivo tempismo, vanità), talvolta serva anche la descrizione precisa di un tipo, non solo la definizione o la spiegazione. In questa prospettiva, figure ordinarie e non eroiche – il mansplainer, l’intellettuale, l’incel, ma anche l’ospite, lo snob, la zia di romanzo – tornano ad avere una funzione cognitiva e persino normativa: mostrano cosa evitare “per cattivo esempio” e invitano a trasformare i comportamenti senza irrigidirli in stereotipi essenzialisti. Il recupero della tradizione teofrastea non cancella l’anatomia humiana, ma ricorda che il “dipinto” può essere, a suo modo, conoscenza e azione morale.

Fonte: Aeon, “How David Hume split literature from philosophy” – https://aeon.co/essays/how-david-hume-split-literature-from-philosophy

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