Oltre all’Ucraina, l’influenza dei droni iraniani si è già fatta sentire in Medio Oriente: Houthi in Yemen e milizie sciite in Iraq li utilizzano per colpire obiettivi sauditi e israelianiOltre all’Ucraina, l’influenza dei droni iraniani si è già fatta sentire in Medio Oriente.

Negli ultimi due anni, l’alleanza militare fra Iran e Russia ha ridisegnato il volto della guerra contemporanea, introducendo al centro del confronto geopolitico un’inedita cooperazione sui droni. Mentre l’Iran è salito alla ribalta come vero «superpotere dei droni» grazie a tecnologie domestiche in grado di produrre in serie loitering munitions a basso costo, Mosca ha scoperto nel conflitto ucraino le proprie lacune in ambito UAV. Così, Téhéran è intervenuta fornendo non soltanto esemplari finiti di droni come lo Shahed-136 (che in Russia è stato ribattezzato Geran-2), ma anche progetti, trasferimenti tecnologici e specialisti in loco.

Nel 2023, nel distretto speciale di Alabuga (Tatarstan), è stata inaugurata una fabbrica dedicata all’assemblaggio e, progressivamente, alla produzione completa di questi velivoli. Inizialmente l’impianto ha montato kit consegnati dall’Iran; successivamente, una fase intermedia ha mescolato componenti russe e iraniane. Oggi gli ingegneri russi affermano di poter realizzare interamente in proprio i Geran-2, puntando a una capacità produttiva di circa 6.000 droni all’anno entro la metà del 2025. Questi veicoli hanno già cambiato le sorti della campagna aerea russa in Ucraina: impiegati in sciami, colpiscono quotidianamente infrastrutture strategiche, obiettivi militari e perfino zone civili, sfruttando il loro lungo raggio di azione e il basso costo di produzione.

La partnership porta benefici concreti per entrambe le parti. Per la Russia, aggirare le sanzioni occidentali significa assicurarsi una linea di approvvigionamento autonoma per gli UAV e accelerare lo sviluppo di prototipi più sofisticati, come il probabile Geran-3, a motore a reazione. Il sostegno iraniano, con tecnici inviati sul posto, è cruciale per questi avanzamenti. L’Iran ottiene invece guadagni economici, accesso a tecnologie russe più evolute e un riconoscimento internazionale senza precedenti, tanto che un accordo firmato a gennaio 2025 prevede addirittura la cessione di aerei e missili russi in cambio di know-how sui droni.

Oltre all’Ucraina, l’influenza dei droni iraniani si è già fatta sentire in Medio Oriente: Houthi in Yemen e milizie sciite in Iraq li utilizzano per colpire obiettivi sauditi e israeliani, aggravando le tensioni regionali. Con la cooperazione russa, si teme ora una diffusione ancora più ampia di UAV modificati e potenti, in grado di raggiungere aree fragili di altri teatri di conflitto. NATO ed Europa occidentale osservano con preoccupazione l’escalation, spingendo Ucraina e Paesi alleati a investire ingenti risorse in difese anti-drone, spesso costose e difficili da implementare su vasta scala.

Il modello di Alabuga rischia di trasformarsi in un «laboratorio» replicabile anche per altri Stati sanzionati, come la Corea del Nord, dando vita a un sistema di produzione parallelo che aggira le restrizioni occidentali. Tuttavia, la situazione sul campo russo non è priva di criticità: emergono continue segnalazioni su condizioni di lavoro dure, controlli e coercizioni a carico di giovani addetti, molti dei quali erano stati attratti da stipendi elevati promessi ai selezionati dall’estero. Inoltre, nonostante i progressi, Mosca rimane dipendente da componenti di qualità superiore (semiconduttori, sistemi ottici) reperiti sul mercato nero, in violazione delle sanzioni: analisi di intelligence occidentali hanno rintracciato pezzi di fabbricazione statunitense o europea all’interno di droni abbattuti.

Sul piano etico, la proliferazione di loitering munitions solleva dubbi inquietanti. Questi velivoli, spesso impiegati in aree densamente popolate senza una chiara linea di frizione, rendono complessa l’attribuzione delle responsabilità e aumentano il rischio di vittime civili. Il Geran-2, in particolare, è pensato per un «contesto di guerra grigia», in cui non si dichiara ufficialmente il conflitto e si agisce nelle zone grigie del diritto internazionale.

In conclusione, l’asse dei droni fra Teheran e Mosca rappresenta molto più di una semplice condivisione di tecnologie: è un nuovo pilastro strategico che sfida l’egemonia occidentale sul piano militare e morale, suggerendo un futuro in cui gli Stati revisionisti costruiscono alleanze fondate sulla cooperazione asimmetrica e l’autosufficienza. Man mano che la guerra in Ucraina prosegue e si infiammano nuovi fronti in Medio Oriente, questa convergenza diventerà un fattore chiave nel rimodellare le dottrine di difesa e sicurezza globale.

Fonte: https://www.geopoliticalmonitor.com/the-drone-axis-iran-and-russia-take-aim-at-the-global-order

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