La politica estera dei progressisti sudcoreani: dalla diplomazia idealista al pragmatismo di sicurezza La politica estera dei progressisti sudcoreani: dalla diplomazia idealista al pragmatismo di sicurezza

La politica estera del Partito Democratico di Corea (DP), principale formazione progressista della Corea del Sud, sta attraversando una fase di ridefinizione che la porta a privilegiare un approccio più pragmatico e attento alla sicurezza. Questo riposizionamento riflette il mutato contesto internazionale, segnato dalla crescente competizione strategica tra Stati Uniti e Cina, dalla maturità nucleare della Corea del Nord, dalla coercizione economica esercitata dalla Cina e dalla normalizzazione della postura militare del Giappone. Allo stesso tempo, fattori interni come il cambio generazionale, le disuguaglianze economiche e la polarizzazione digitale stanno trasformando la base di consenso dei progressisti, ridimensionando l’idealismo unificazionista basato sul nazionalismo etnico.

In passato, la politica estera dei progressisti si fondava sul cosiddetto Sunshine Policy, puntando sulla cooperazione economica con Pyongyang e sulla ricerca di maggiore autonomia strategica rispetto all’alleanza con gli Stati Uniti, mentre i rapporti con il Giappone erano spesso improntati a una memoria storica conflittuale. Oggi, però, l’evoluzione del quadro internazionale sta costringendo il DP a rivedere questa impostazione: l’avanzamento nucleare della Corea del Nord rende più difficile sostenere l’impegno economico come strumento di riconciliazione; la pressione statunitense a schierarsi con Washington contro la Cina, specie nei settori tecnologici, mette in crisi l’equilibrio tra sicurezza e affari; infine, la normalizzazione militare giapponese e la cooperazione trilaterale USA-Corea-Giappone pongono nuove sfide all’identità progressista, tradizionalmente ostile a Tokyo.

Sul piano interno, la generazione più giovane tende a definire l’identità nazionale in chiave civica piuttosto che etnica, mostrando meno entusiasmo per l’unificazione con la Corea del Nord e più attenzione alla stabilità economica e alla reputazione internazionale della Corea del Sud come potenza democratica e tecnologica. Questo spinge i progressisti a riformulare la politica di ingaggio verso Pyongyang, subordinandola alla sicurezza e alla convivenza pacifica piuttosto che a un rapido processo di riunificazione.

Anche l’alleanza con gli Stati Uniti, un tempo vista come un ostacolo all’autonomia nazionale, è ora considerata dai progressisti una piattaforma pragmatica per garantire la sicurezza e promuovere la crescita economica. Tuttavia, il dibattito interno sulle spese per la difesa e la redistribuzione delle risorse continua a influenzare il modo in cui il DP gestisce la cooperazione con Washington. La polarizzazione digitale, infine, amplifica le divisioni interne, rendendo difficile trovare un consenso ampio anche sulle questioni di politica estera.

In questo contesto, la candidatura presidenziale di Lee Jae-myung incarna le tensioni di questa transizione: da un lato propone una linea centrista e pragmatica per attrarre voti moderati, dall’altro rischia di alienarsi parte della base progressista tradizionale. Lee promuove un’alleanza strategica con gli Stati Uniti, ma insiste sull’equità nei costi della difesa e punta a un dialogo condizionato con la Corea del Nord, evidenziando una svolta rispetto all’impegno incondizionato del passato.

In sintesi, la trasformazione della politica estera progressista in Corea del Sud è il risultato di pressioni internazionali, cambiamenti generazionali e fratture interne che costringono il DP a ridefinire il proprio ruolo: meno idealismo, più pragmatismo e un equilibrio complesso tra sicurezza e autonomia.

Fonte: Carnegie Endowment – The Transformation of South Korean Progressive Foreign Policy

L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.
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