Pierre-André Taguieff denuncia come l’odio antiebraico abbia assunto oggi forme raffinate e trasversali, permeando sia la sfera politica tradizionale che i nuovi spazi virtuali. Alla radice di questa trasformazione c’è un antisionismo radicale che nega lo Stato di Israele e aspira a sostituirlo con un’entità palestinese o islamica, presentando gli ebrei come nemici irriducibili del genere umano. In questo contesto, la retorica antiebraica non si limita più al vecchio cliché del “giudeo-capitalista”: si spinge fino alla “nazificazione” di chiunque sostenga il diritto di Israele a esistere, accostando sistematicamente il sionismo al nazismo e dipingendo gli ebrei come nuovi Hitler in salsa contemporanea.
L’autore individua nel pogrom del 7 ottobre 2023 un punto di svolta. Quel massacro, salutato da alcuni attivisti come la “prova” dell’esistenza palestinese e l’evento che segna “la fine dell’innocenza ebraica”, ha alimentato narrazioni apocalittiche e teorie del complotto, fondendo giubilo per la violenza e rivendicazioni di giustizia storica. Da una parte abbiamo efficaci propagandisti di sinistra radicale che sfruttano categorie classiche – dominanti vs. dominati, colonizzatori vs. colonizzati – per relegare gli ebrei all’immagine di oppressori globali; dall’altra, un’élite di influencer digitali mescola fake news e accenti complottisti per insinuare che i “poteri occulti ebraici” controllino i media e l’“élite mondiale”.
Taguieff sottolinea come questi due filoni, pur nascendo da logiche diverse, attingano alla medesima cassetta degli attrezzi: stereotipi antisemiti, retorica del complotto, uso strumentale di immagini drammatiche. Le “immagini choc” di bambini palestinesi feriti o morti, diffuse per scatenare indignazione e manipolare le emozioni, creano un “effetto radicalizzante” che colpisce soprattutto i giovani, isolati dai tradizionali circuiti di militanza e difficili da monitorare. In questa guerra psicologica, spesso orchestrata – secondo l’autore – anche da servizi segreti di Stati ostili come la Russia, i contenuti virali diventano un’arma di destabilizzazione interna e un’opportunità di guadagno per chi sa cavalcare l’onda dello scandalo.
A rendere il quadro ancora più complesso è la convergenza fra ideologie islamiste antiebraiche e correnti wokiste radicali, unite da un profondo antoccidentalismo che identifica nell’“uomo bianco” e nel “sionista” le cause di ogni male, dal colonialismo alla crisi climatica. Da questa fusione sarebbe nata una “sintesi islamo-wokista” che domina molte facoltà universitarie, imponendo un’antropologia acrimoniosa che paragona sistematicamente Gaza ad Auschwitz e dipinge ogni critica a Israele come negazione dei valori umanitari.
Di fronte a questo scenario, Taguieff invita a distinguere chiaramente la critica politica alle scelte del governo Netanyahu – che può e deve basarsi su principi democratici e pluralisti – dalla demonizzazione sistematica di intere comunità. Avverte che la memoria della Shoah non basta più a proteggere gli ebrei dalle accuse più deliranti e ammonisce sul rischio di un antirazzismo “capovolto”, dove la lotta contro l’islamofobia viene usata per sminuire o legittimare l’odio antiebraico. Solo un’azione critica e documentata, libera dalle semplificazioni emotive e dagli slogan, potrà contrastare efficacemente questa ossessione criminalizzante.
Fonte: https://www.telos-eu.com/fr/comment-criminaliser-les-juifs-aujourdhui-ideologu.html
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