La voce “Communitarianism” della Stanford Encyclopedia of Philosophy delinea il comunitarismo come una corrente filosofica che sottolinea come l’identità umana sia profondamente plasmata dalle comunità di appartenenza e dalle relazioni sociali. Questa prospettiva contrasta con l’idea liberale di un individuo autonomo e indipendente, proponendo invece una visione del sé come entità situata all’interno di contesti sociali specifici.
Il comunitarismo moderno emerge negli anni ’80 come risposta critica al liberalismo di John Rawls, in particolare alla sua concezione del “sé disincarnato” e alla teoria della giustizia come equità. Filosofi come Alasdair MacIntyre, Michael Sandel, Charles Taylor e Michael Walzer contestano l’idea che sia possibile elaborare principi di giustizia universali partendo da un punto di vista astratto, come quello dell’original position rawlsiana. Essi sostengono che le identità individuali siano costituite da tradizioni, linguaggi e pratiche condivise, rendendo insensato separare l’individuo dal suo contesto sociale e culturale.
Sandel, in particolare, critica l’idea rawlsiana di un “sé non gravato”, argomentando che le persone non possono essere comprese indipendentemente dalle loro relazioni e appartenenze comunitarie. Taylor aggiunge che la nostra capacità di giudizio morale e politico è radicata in una “grammatica morale” appresa attraverso l’interazione con la comunità. MacIntyre, invece, evidenzia come le virtù e i valori siano trasmessi attraverso le tradizioni storiche, rendendo impossibile una valutazione morale completamente astratta.
In sintesi, il comunitarismo propone una concezione del sé come entità situata e interdipendente, sottolineando l’importanza delle comunità nel plasmare l’identità e i valori individuali. Questa visione mette in discussione le fondamenta dell’individualismo liberale, promuovendo un approccio più contestualizzato e relazionale alla filosofia politica e morale.
Fonte: Stanford Encyclopedia of Philosophy, “Communitarianism”
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