Nel suo ultimo intervento, riportato da Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera, Gilles Kepel — tra i più autorevoli studiosi del mondo arabo e dell’islam politico — lancia un allarme che attraversa i confini della Francia e tocca l’intera Europa: la nascita di una nuova alleanza tra frange dell’estrema sinistra occidentale e i movimenti islamisti radicali. Un legame che, secondo il politologo, non nasce da affinità culturali o religiose, ma da una convergenza di obiettivi politici: l’odio verso l’Occidente e i suoi valori.
Kepel, che ha dedicato decenni di studi al fenomeno jihadista e ha vissuto sotto scorta per le minacce ricevute dai gruppi legati all’Isis, descrive questo incontro tra due mondi apparentemente inconciliabili come una “mutazione del conflitto”. Se nel Novecento lo scontro sociale opponeva classi economiche, oggi la parola d’ordine non è più “proletari di tutto il mondo unitevi”, ma “Allahu Akbar”. La logica della lotta di classe — dice — è stata sostituita da quella dello scontro etnico-religioso, molto più profondo e, soprattutto, irrisolvibile. Perché, mentre le disuguaglianze economiche possono essere superate con l’istruzione o la mobilità sociale, le fratture identitarie non conoscono vie d’uscita.
L’analisi di Kepel tocca anche il nuovo simbolismo politico che attraversa le piazze europee: la bandiera palestinese, divenuta emblema universale di protesta contro le ingiustizie del mondo, funziona da collante ideologico per movimenti eterogenei. Ma la differenza con gli anni Sessanta è sostanziale: allora il Vietnam era una causa lontana; oggi le comunità arabe e musulmane vivono all’interno delle società europee e la questione israelo-palestinese si intreccia direttamente con le tensioni interne, alimentando sentimenti di rivalsa, appartenenza e divisione.
In Francia, dove oltre un decimo della popolazione è di origine araba, questa dinamica sta ridisegnando la mappa politica. La crescita della destra anti-immigrazione — con il Rassemblement National in testa — è, per Kepel, la risposta speculare a questo processo. Il paradosso, sottolinea con ironia amara, è che il possibile futuro presidente francese, Jordan Bardella, è in parte di origine tunisina: il primo capo di Stato “arabo” d’estrema destra.
Ma la riflessione più inquietante riguarda i giovani delle seconde generazioni. Kepel osserva che i figli degli immigrati, pur formatisi nelle scuole europee e beneficiando dei sistemi sociali, sembrano aver abbandonato l’idea di integrazione per rifugiarsi in una visione identitaria e antagonista. Non più Occidente contro Russia, ma Nord contro Sud: una contrapposizione che riattualizza l’immaginario postcoloniale e trasforma il “Sud globale” nel portavoce simbolico di tutte le ingiustizie.
In questo scenario, l’Europa appare schiacciata tra due pressioni opposte: da un lato il “trumpismo”, che rilancia la chiusura sovranista; dall’altro l’espansionismo russo e la retorica del risentimento postcoloniale. Tra questi estremi, la protesta per Gaza diventa — secondo Kepel — il pretesto per un più ampio processo di delegittimazione dell’Occidente stesso, visto come colpevole universale.
Il discorso di Kepel è destinato a suscitare discussioni, non solo per la forza delle sue tesi, ma perché costringe a interrogarsi su un tema rimosso: cosa significa oggi “Occidente”? E fino a che punto le sue idee fondative — la laicità, i diritti individuali, la libertà d’espressione — sono ancora condivise da società sempre più pluraliste, segnate da memorie coloniali e conflitti identitari che sembrano riaccendersi proprio nel cuore dell’Europa.
Fonte: Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera, 1 novembre 2025.
L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.