Identità, soggettività ed esperienza: le radici filosofiche
Il sé politico: esperienza, riconoscimento e le sfide dell’intersezionalità
Alla base della politica dell’identità c’è una concezione del soggetto umano come situato e formato da esperienze vissute in contesti sociali strutturalmente ingiusti. La richiesta di riconoscimento, in questo senso, non è generica ma si fonda sull’esperienza di essere donne, neri, lesbiche, disabili, ecc., e sull’esigenza che queste esperienze diventino visibili, condivise e politicamente rilevanti.
Filosoficamente, questo approccio affonda le sue radici nella riflessione sulla soggettività e sull’autenticità (Taylor), nella critica femminista all’universalismo astratto, e nella teoria dell’esperienza come costruzione interpretativa (Scott, Alcoff, Heyes). Non si tratta solo di raccontare vissuti personali, ma di trasformarli in categorie politiche, attraverso una consapevolezza condivisa. Tuttavia, questa centralità dell’esperienza ha suscitato critiche: secondo alcuni, porta a una forma di “epistemologia di provenienza”, dove solo chi appartiene a un gruppo può parlare legittimamente per quel gruppo, limitando il dialogo e la solidarietà trasversale.
Una sfida importante per le politiche dell’identità è rappresentata dall’intersezionalità: ogni asse identitario (razza, genere, classe, orientamento sessuale…) è inseparabile dagli altri. L’esperienza di una donna nera, ad esempio, non può essere ridotta a quella “delle donne” o “dei neri”. Se la politica identitaria si concentra su un’unica appartenenza, rischia di escludere chi non si riconosce in una sola categoria o ha esperienze ibride. In alcuni casi, le nuove identità possono addirittura esercitare pressioni normative su chi ne fa parte, dettando come si debba essere per appartenere legittimamente al gruppo.
Fonte: https://plato.stanford.edu/entries/identity-politics/
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