Trump, con le sue misure aggressive, ha toccato un nervo scoperto: dietro la patina di internazionalismo e multiculturalismo delle università Usa, si nasconde un sistema elitario che ha marginalizzato parte della popolazione americana.Dietro la patina di internazionalismo e multiculturalismo delle università Usa, si nasconde un sistema elitario

Nella sua newsletter, Federico Rampini rilancia un’analisi di Daniel A. Bell, docente di storia moderna e contemporanea a Princeton, sul tema dell’internazionalizzazione delle università americane e sulle tensioni sociali e politiche che ne derivano. Bell denuncia l’attacco di Donald Trump alle università d’élite come Harvard e Columbia, colpevoli — secondo l’ex presidente — di accogliere troppi studenti stranieri a scapito dei cittadini americani.

L’accademia statunitense ha tradizionalmente rappresentato un potente strumento di soft power, capace di attirare i migliori talenti da tutto il mondo. Questo processo ha permesso all’America di formare generazioni di scienziati e imprenditori, contribuendo a innovazioni di portata globale. Ma Bell sottolinea come le università abbiano finito per favorire le élite globali, trasformandosi in macchine da soldi grazie alle rette pagate dai figli dei ceti più ricchi di Cina, India, Europa e America Latina, a discapito degli studenti americani delle classi medio-basse.

La testimonianza di Bell, citata da Rampini, evidenzia episodi simbolici come quello dello studente cinese in Maserati in un college rurale dell’Ohio, segno di uno squilibrio evidente. Trump, con le sue misure aggressive, ha toccato un nervo scoperto: dietro la patina di internazionalismo e multiculturalismo delle università Usa, si nasconde un sistema elitario che ha marginalizzato parte della popolazione americana. Questo, spiega Bell, ha contribuito a esacerbare il risentimento populista e ha messo in discussione la funzione stessa delle università come motori di mobilità sociale.

L’editorialista sottolinea anche come questa apertura accademica non sempre abbia rafforzato i valori liberaldemocratici nel mondo: i figli degli oligarchi russi o dei leader cinesi, una volta rientrati in patria, hanno spesso lavorato contro gli interessi americani. Nonostante ciò, la questione dell’internazionalizzazione è complessa: essa ha portato benefici indiscutibili sul piano economico e scientifico, ma ha anche accentuato le disuguaglianze interne.

Rampini invita a non ignorare il problema sollevato da Bell, pur criticando i metodi brutali di Trump. È giusto, conclude, interrogarsi sul ruolo delle università americane nel mondo globale, sull’equilibrio tra apertura internazionale e giustizia sociale interna, e sulla necessità di non trasformare le università in un club esclusivo per le élite mondiali.

Fonte: Newsletter di Federico Rampini, con analisi di Daniel A. Bell, New York Times, 1 giugno 2025.

L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.
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