Il presidente Donald Trump oscilla fra l’appoggio militare a Israele e la continuità del contenimento della CinaIl presidente Donald Trump oscilla fra l’appoggio militare a Israele e la continuità del contenimento della Cina

La nuova fiammata di guerra fra Israele e Iran, cominciata con l’attacco israeliano della scorsa settimana, non ha provocato il panico che un tempo avrebbe incendiato i mercati energetici. Il prezzo del petrolio è salito solo fino ai livelli medi degli ultimi tre anni e le Borse, dopo un iniziale scossone, hanno recuperato. Eppure il contesto macroeconomico resta fragile: nelle previsioni aggiornate di OCSE e Banca Mondiale la crescita globale resta anemica, sotto il 3%, con le economie avanzate quasi stagnanti.

Su questo quadro pesa l’incertezza strategica di Washington. Il presidente Donald Trump oscilla fra l’appoggio militare a Israele e la continuità del contenimento della Cina, mentre i suoi elettori avversano un intervento diretto. La prevedibilità che caratterizzava la diplomazia statunitense — persino nelle frizioni tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu — lascia spazio a decisioni dettate dal momento, complicando la pianificazione a lungo termine delle imprese e dissuadendo gli investitori esteri: i flussi verso gli asset americani si stanno riducendo.

Il tradizionale “flight to safety” verso dollaro e Treasury non si è materializzato: la valuta statunitense scivola, i rendimenti obbligazionari restano alti e l’oro continua a correre. Rapley legge in questo cortocircuito il sintomo di un vacillare dell’egemonia USA analogo al declino britannico fra le due guerre mondiali, quando nessuna potenza era pronta a reggere l’ordine globale. Allora, la combinazione di crisi finanziarie mal gestite, protezionismo e instabilità culminò nella Grande Depressione.

Oggi, un evento dirompente — che si tratti di una crisi dei fondi di private equity, dello scoppio della bolla crypto o di un’escalation bellica che blocchi le rotte petrolifere — rischierebbe di trovare le principali economie senza il coordinamento emerso nel 2008 o nel 2020. L’“interregno” che si sta aprendo, avverte l’autore, potrebbe accentuare la volatilità e mettere alla prova la capacità degli Stati Uniti di chiudere rapidamente il conflitto mediorientale. Dal risultato si misurerà quanto il potere del vecchio egemone sia davvero scemato.

Fonte: John Rapley, “The global interregnum is upon us”, UnHerd, 18 giugno 2025

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