Quando l’asino entra in scena: il lungo viaggio di un “proletario” del cinema

Dalla Bibbia a Shrek, passando per i western di John Huston e Clint Eastwood, l’asino attraversa secoli di immaginario collettivo portandosi addosso un carico di significati contraddittori. Nel saggio di Hans J. Wulff, pubblicato su POP. Kultur und Kritik il 20 maggio 2025, l’animale emerge come creatura ambivalente: simbolo di ostinazione e stupidità nella lingua quotidiana, ma anche emblema di resistenza, umiltà e persino libido nelle narrazioni mitiche.

Il cinema popolare, osserva Wulff, ne rispecchia la complessità senza mai ridurla a sintesi. Nella maggior parte dei film l’asino è semplice “bio-requisito”, parte del paesaggio umano come i cani nei parchi o le mucche nei pascoli. Quando però assume un ruolo riconoscibile – spesso in funzione di bestia da soma per cercatori d’oro (come in The Treasure of the Sierra Madre) o di cavalcatura dei poveri e dei “messicani” dei western – diventa segno visivo di disuguaglianze sociali, etniche e di genere: il cavallo per il padrone, l’asino per il servo o lo straniero. E la parodia lo conferma, dal sombrero stereotipato al buffo Apollo 13 in Der Schuh des Manitu.

Non mancano riferimenti teologici: l’asino che porta Maria, quello che accompagna la Sacra Famiglia nella fuga in Egitto, o il puledro su cui Gesù entra a Gerusalemme, immagine di un potere rovesciato che rinnova la simbologia dell’animale come “portatore di colpe” e speranza degli ultimi. All’estremo opposto, il documentario ricorda l’attuale mattanza africana di asini alimentata dalla richiesta cinese di ejiao, una gelatina medicinale ricavata dalle pelli, segno che lo sfruttamento continua in forme globalizzate.

Wulff mostra anche come certe culture abbiano fatto dell’asino (o del mulo) un totem identitario: nelle tradizioni afroamericane, per esempio, esso incarna la resilienza del popolo schiavizzato; in Catalogna diventa contro-icona pacifica del toro nazionale spagnolo. Intanto il grande schermo offre rare storie d’affetto – soprattutto per bambini, da Bim, le petit Âne a High Rise Donkey – ma abbonda di gag sul carattere “testardo” dell’animale. Il paradosso resta: lo stesso corpo con orecchie spropositate può evocare scaltrezza o stoltezza, castità o lubricità, saggezza contemplativa o immobilismo suicida alla maniera dell’“asino di Buridano”.

Al termine di questa ricognizione, l’autore invita a non cercare un’immagine unica dell’asino cinematografico: la sua forza sta proprio nel tenere insieme tutti i contrari, specchio mutevole dei desideri e dei pregiudizi umani.

Fonte: https://pop-zeitschrift.de/2025/05/20/esel-im-filmautorvon-hans-j-wulff-autordatum20-5-2025-datum/

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