Dopo la forte impennata del 2024, quando il dollaro aveva guadagnato quasi il dieci percento grazie alla robustezza dell’economia statunitense e al calo dell’inflazione, l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha innescato nuove incertezze che ne hanno ridotto nuovamente il valore. L’annuncio dei dazi “Liberation Day” all’inizio di aprile ha colto di sorpresa i mercati, interrompendo flussi commerciali e finanziari: benché poi alcuni dazi siano stati moderati, il timore di un rallentamento economico ha spinto gli investitori a rivedere al ribasso le aspettative sui tassi di interesse, causando il ritorno del dollaro sui livelli di settembre 2024.
Diversamente dalle crisi precedenti, quando in periodi di turbolenza la corsa al “rifugio sicuro” preferiva i Treasury USA, questa volta alcuni operatori si sono rifugiati in obbligazioni giapponesi e oro, facendo salire i rendimenti a lungo termine dei titoli statunitensi anziché abbassarli. Il motivo risiede non solo nei timori di inflazione e nell’aumento del debito federale, ma anche nell’attacco di Trump all’indipendenza della Federal Reserve e alla stabilità delle istituzioni legali americane: fattori che mettono in discussione la fiducia a lungo termine nel dollaro.
Eppure, nonostante gli sforzi del presidente per indebolire la moneta – persino evocando ipotetiche alleanze internazionali per svalutarla al fine di favorire le esportazioni USA – nessuna valuta ostile sembra in grado di spodestare il biglietto verde. Le alternative più “sicure”, come i Bund tedeschi, i titoli austriaci o francesi e i JGB giapponesi, soffrono di prospettive di crescita modellate da deficit elevati, tensioni politiche o fragilità economiche. La Cina, poi, rimane ostacolata dal controllo dei capitali e dalla mancanza di autonomia del suo istituto centrale, oltre ai persistenti squilibri del mercato immobiliare e ai rischi politici interni.
Nonostante il principale vantaggio competitivo del dollaro – la profondità e la liquidità dei suoi mercati finanziari – cominci a mostrare crepe, l’assenza di un sostituto credibile garantisce ancora al biglietto verde una “corsia preferenziale” nel sistema monetario internazionale. Finché le altre economie non riusciranno a colmare le proprie debolezze politiche, istituzionali e finanziarie, il dollaro rimarrà, per ora, incontrastato al vertice.
Fonte: https://www.foreignaffairs.com/united-states/dollar-may-be-down-its-still-top
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