Nonostante la drammatica escalation seguita ai bombardamenti americani sui siti nucleari iraniani, l’annunciata chiusura dello Stretto di Hormuz da parte del Parlamento di Teheran non ha scosso i mercati come previsto. Federico Fubini, sul Corriere della Sera, analizza le implicazioni geopolitiche ed economiche di questa minaccia: lo stretto è un punto di transito strategico per il 20% del greggio e oltre il 10% del gas naturale mondiale, inclusi i flussi dal Qatar verso l’Italia.
Sebbene la mossa del Parlamento appaia come una delle più severe possibili, è chiaro che la decisione effettiva non spetta ai deputati né ai propagandisti, ma alla guida religiosa e militare iraniana. E qui si apre una gamma di scenari intermedi tra l’inerzia e il blocco totale. Finora, osserva Fubini, l’Iran sembra optare per tattiche di disturbo e sabotaggio limitato: sequestro di navi, disturbi ai segnali satellitari, provocazioni con imbarcazioni leggere. Mosse che non bloccano del tutto i transiti, ma tengono i mercati sotto pressione.
Il vero freno a una chiusura totale è Pechino, principale acquirente del petrolio iraniano e finanziatore di fatto di Teheran, che non ha alcun interesse in una crisi fuori controllo. La Cina non vuole né una soluzione diplomatica troppo rapida né un allargamento del conflitto, e ciò condiziona le mosse della teocrazia.
I mercati sembrano averlo compreso. Le borse mediorientali e quella di Tel Aviv hanno reagito con moderato ottimismo, segno che non si prevede un’interruzione massiccia delle forniture. Tuttavia, una minaccia come quella di Hormuz, anche se più simbolica che reale, basta a innescare movimenti speculativi sul prezzo del petrolio e della benzina — in particolare in Italia, dove la rete distributiva è spesso sensibile alle tensioni internazionali.
Anche sul gas, la preoccupazione è concreta: l’Europa deve riempire le scorte, e l’insicurezza nelle rotte energetiche può rendere la situazione ancora più instabile. La Grecia, che ospita alcuni dei più grandi armatori del mondo, e la Gran Bretagna hanno lanciato avvertimenti ufficiali alle proprie navi, segnalando un rischio elevato non solo nello Stretto di Hormuz, ma anche nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.
Il quadro delineato da Fubini è quello di una crisi che l’Iran sta gestendo con ambiguità calcolata: abbastanza minacciosa da restare protagonista, non abbastanza estrema da scatenare un contrattacco globale o mettere in pericolo i suoi interessi economici.
Fonte: Federico Fubini, Hormuz, davvero l’Iran vuole chiudere lo stretto? I rischi sul caro-petrolio e benzina (ma per Teheran è un’arma spuntata), Corriere della Sera, 23 giugno 2025
L'illustrazione utilizzata per questo articolo è generica e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.