Donald Trump ha inaugurato ieri, 14 maggio, la sua prima missione all’estero del secondo mandato atterrando a Riad. Come nel 2017, il presidente statunitense ha scelto l’Arabia Saudita come tappa d’esordio, cui seguiranno Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Al centro del viaggio, scrive El Orden Mundial, c’è una fitta agenda di accordi economici pensati per aprire nuove commesse alle imprese statunitensi e, soprattutto, un maxi-intesa di difesa siglata con la monarchia saudita.
La decisione di escludere Israele dalla rotta rappresenta un segnale politico netto. Tel Aviv ha appena approvato un piano di ri-occupazione permanente di Gaza, allontanando l’obiettivo — caro a Trump sin dal suo ritorno alla Casa Bianca — di un cessate il fuoco duraturo nella Striscia e di una normalizzazione dei rapporti fra Israele e Riyad. Così, mentre il Pentagono dialoga con i sauditi sul loro controverso programma nucleare civile e Washington discute di sanzioni ai ribelli huthi e della riapertura a Damasco, Israele si ritrova isolato nell’agenda mediorientale statunitense.
A pesare è anche l’intreccio affaristico che lega Trump alle petromonarchie: dai campi del circuito LIV Golf ospitati nei resort di famiglia, ai due miliardi di dollari confluiti dal fondo sovrano saudita nel fondo d’investimento del genero Jared Kushner, fino ai progetti immobiliari di lusso annunciati a Dubai e Doha.
Il presidente valuta inoltre di fare tappa a Istanbul per presenziare ai negoziati diretti tra Russia e Ucraina, proposta accettata da Volodymyr Zelensky a condizione che vi partecipi Vladimir Putin. Il Cremlino, pur chiedendo colloqui “senza precondizioni”, non ha ancora confermato la presenza del capo di Stato russo — e le esitazioni di Mosca mettono in luce, nota l’autore, i limiti di una Casa Bianca finora indulgente verso le richieste del Cremlino.
Nel complesso, la tournée avvalora la strategia “Gulf first” di Trump: puntare sui partner arabi più facoltosi per assicurarsi investimenti e rinnovati legami di sicurezza, spostando l’asse della politica estera statunitense dal tradizionale ombrello occidentale verso un pragmatismo economico-militare nel Golfo. Questa postura, conclude l’analisi, accentuerà la distanza con Israele e potrebbe persino spingere Washington a riconsiderare il proprio atteggiamento nei confronti di Mosca se i colloqui ucraini non porteranno risultati.
Fonte: El Orden Mundial – “La nueva prioridad de Trump en Oriente Próximo es el Golfo, no Israel”, https://elordenmundial.com/blitz-trump-oriente-proximo-monarquias-golfo-israel/
Le immagini di questo articolo sono generiche e AI-generated; uso libero per finalità editoriali e commerciali.