Secondo Éric Deschavanne, l’iniziativa del governo francese di introdurre quote di genere nelle classi preparatorie scientifiche è una risposta ideologicamente distorta a un problema mal posto. La Francia ha un reale bisogno di ingegneri, ma il livello generale in matematica continua a peggiorare. Tuttavia, la proposta avanzata da Élisabeth Borne, focalizzata sulla parità tra i sessi piuttosto che sull’innalzamento complessivo del livello educativo, non affronta il nodo centrale della questione.
Deschavanne articola la sua critica su tre piani: morale, politico ed epistemologico. Sul piano morale, sottolinea che le selezioni devono avvenire secondo criteri di merito, senza discriminazioni di sesso. Introdurre quote riservate alle ragazze, afferma, significa creare un “sessismo di Stato” che rischia di ledere il principio di uguaglianza, penalizzando candidati maschi motivati senza che vi sia una richiesta esplicita da parte delle ragazze.
Politicamente, la proposta non convince né a sinistra né a destra. Per i progressisti, che dovrebbero combattere le disuguaglianze sociali, questa misura si concentra su una disparità (quella tra i sessi) che nei fatti è marginale e in alcuni casi invertita. I dati mostrano infatti che le ragazze superano i ragazzi nei risultati scolastici, con l’84% che consegue il diploma contro il 75% dei coetanei maschi. Piuttosto, l’urgenza riguarda le disuguaglianze sociali, che rimangono le più marcate e in crescita. Dal lato conservatore, la critica si concentra sulla disfunzione generale del sistema educativo: i dati internazionali, come quelli dell’indagine TIMSS, posizionano la Francia tra gli ultimi in Europa per le competenze matematiche degli studenti, e il governo sembra più interessato alla “sensibilizzazione ai pregiudizi di genere” che a riforme strutturali.
La parte più densa dell’analisi di Deschavanne è però quella epistemologica. Secondo l’autore, il Ministero dell’Istruzione promuove un’ideologia femminista che non trova riscontro nei dati prodotti dallo stesso apparato statale. Ad esempio, l’idea che le ragazze si autocensurino e siano vittime inconsapevoli di stereotipi sessisti viene smentita dalla loro sovra-rappresentazione nelle eccellenze scolastiche: tra il 2020 e il 2022, il 27% delle donne e il 21% degli uomini ha ottenuto un titolo di studio di alto livello (master, dottorato, grande école). Le ragazze sono meno presenti solo nelle scuole di ingegneria, ma ciò si spiega con le loro preferenze verso altri indirizzi scientifici, come medicina, dove sono in netta maggioranza.
Le ragazze non subiscono nemmeno discriminazioni in fase di selezione: i dati del Ministero mostrano che, a parità di risultati, ricevono più spesso offerte di ammissione nelle filiere scientifiche selettive, ma le rifiutano più frequentemente rispetto ai ragazzi. Le scelte di orientamento al liceo, specialmente nella selezione delle specialità in matematica e fisica, riflettono queste tendenze. In terminale, solo il 38% delle ragazze sceglie la combinazione Matematica/Fisica, contro il 66% che opta per Fisica/SVT (scienze della vita e della terra).
Deschavanne conclude che, se il vero obiettivo fosse aumentare la presenza femminile nelle STEM, le soluzioni efficaci sarebbero due: migliorare la qualità dell’insegnamento della matematica (oggi in crisi) e ristrutturare l’offerta formativa, ad esempio imponendo combinazioni obbligatorie di specialità o tornando alla vecchia filiera scientifica. Le quote, invece, minano la meritocrazia e rischiano di sostituire l’uguaglianza con un egualitarismo forzato, che confonde le legittime ambizioni di inclusione con un progetto di ingegneria sociale ideologicamente sbilanciato.
Fonte: Éric Deschavanne, Quotas genrés: une mauvaise réponse à une question mal posée, 15 maggio 2025, Telos
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